La terza “frode di Warren Mosler” e altre considerazioni

Pubblicato da Claudio Pisapia il

“I deficit di bilancio portano via i risparmi”. Questa la terza delle sette frodi che Warren Mosler descrive nel suo libro “Le sette innocenti frodi capitali della politica economica” e le cui righe stiamo ripercorrendo da qualche settimana. Sono argomenti semplici, facili da digerire e forse proprio per questo si fa fatica a digerire. Si pensa sempre che la soluzione ai problemi debba essere complicata, spiegata con parole difficili e alla portata solo di economisti “accreditati”.
In realtà i principi dell’economia dovrebbero essere alla portata di tutti lasciando a pochi specialisti il compito di riempire fogli di bilancio, fare curve del benessere, compensare partite correnti, calcolare la giusta quantità di denaro e quant’altro. Tutti dovrebbero masticare i principi in modo da comprendere quando la politica sta’facendo le giuste scelte, in nome della collettività, o sta operando a favore di pochi fortunati. 
Basterebbe solo del sano buon senso per individuare le azioni che realmente servono ai cittadini, alla maggioranza delle persone e per svincolarsi dalle logiche finanziarie e bancarie. Allontanarsi dagli interessi di quella minoranza che lentamente ma inesorabilmente si sta’impadronendo della totalità delle risorse della terra. 
E il buon senso dovrebbe farci capire che le persone per avere soldi devono lavorare perché  non possono stamparsi moneta o decidere quale sia il loro mezzo di scambio. Uno Stato (sovrano, indipendente) invece agisce in maniera diversa, quando ha bisogno di avere denaro lo stampa, non va a lavorare per procurarselo. E decide come deve essere quella moneta, il colore, il disegno, il valore e fa in modo che venga accettato da tutti tassando in quella valuta così che tutti ne abbiano bisogno e garantendone la circolazione. 
E quindi, se lo Stato immette nel circuito economico 100, perché ha deciso e constatato che quella è la quantità che serve all’economia, e ne pretende indietro:
– 150: (surplus di bilancio) i cittadini non sanno dove andare a prendere i 50 di differenza e magari dovranno perdere beni reali come case e terre dopo aver esaurito il risparmio a disposizione;
– 100:  (pareggio di bilancio) non lascerà moneta in giro. Chiedo indietro quanto ho messo in circolazione quindi come potranno essere fatti gli scambi? I cittadini non hanno possibilità di risparmiare;
– 80: (deficit di bilancio) cioè lo Stato spende più di quanto incassa con le tasse. Ai cittadini rimarranno 20 da utilizzare a loro piacimento, i risparmi aumentano.
Di seguito una traduzione di un video di Mark Blyth, economista americano che ha parlato e scritto di austerità. Del danno che procurano alla società la mancanza di deficit e del fatto che il debito statale debba essere inteso come investimento per l’intera comunità.
L’austerità, cioè lo Stato che pretende indietro più di quanto ha immesso in circolazione, è un concetto economico che non solo frena la crescita e impedisce la soddisfazione dei bisogni ma implica necessariamente un conflitto sociale. Infatti questo sistema non tiene conto di chi ha causato la crisi e costringe chi non ha partecipato ai dividendi del boom economico precedente a ripagare i danni. Un concetto, vecchio come il mondo ma assurdamente riproposto in una civiltà avanzata come la nostra, che richiama concetti di divisione della popolazione in giustificatamente ricchi, da una parte, e in ineluttabilmente poveri dall’altra. Idee di economia classica, Malthus, Ricardo, Pareto che davano un criterio etico all’essere ricchi, una giustificazione dovuta un po’ ai geni per cui se uno è ricco vuol dire che lo ha meritato. Dato quindi un senso quasi divino ai ricchi si poteva giustificare tutto il resto, potere e privilegi. 
Ma oggi non dovrebbe essere così, c’è possibilità di informazione, tecnologia, televisione. Tutti mezzi sicuramente pilotati ma che danno una possibilità in più rispetto alle società ottocentesche e post rivoluzione industriale in cui quei pensieri si svilupparono, e dovrebbero rimanere confinati.
Blyth pone l’accento in particolare che l’austerità, vista come intenzione di non spendere per pagare i debiti, se fatta in contemporanea dai privati e dagli Stati diventa micidiale. Qui forse è il suo limite. L’austerità dei privati non è una scelta ma una conseguenza del sistema di debito creato dalle banche che creano denaro per il 90-95%  sotto forma, appunto, di debito privato e quando decidono di rientrare lo fanno a spese dei risparmiatori, dei cittadini. E una banca non è mai troppo grande per fallire ma il salvataggio è sempre una decisione politica. Uno Stato potrebbe togliere alle banche la possibilità di creare denaro e di indirizzarlo dove meglio crede (o meglio guadagna), ma nel sistema attuale potrebbe anche decidere, ad esempio, di salvaguardare i risparmiatori, gli obbligazionisti e persino i piccoli azionisti lasciando al loro destino i derivati e i castelli di sabbia creati dalle grandi istituzioni bancarie.
La possibilità di scegliere c’è sempre e i governi l’hanno sempre avuta ma continuano a confondere gli interessi dei cittadini con quelli della finanza e delle banche oppure nascondendosi dietro a decisioni sovranazionali, nel caso ad esempio dell’Italia.
“Austerity, è grande in europa, stà diventando grande anche qui (negli USA n.d.r.). Ogni primo ministro ne parla ma cos’è? 
(E’) il senso comune di ripagare per il massiccio aumento del debito pubblico causato dalla crisi finanziaria, in particolare con il taglio dei servizi pubblici. Prima hai avuto adesso devi pagare. Suona ovvio. Ma sfortunatamente non è così semplice, perché l’austerità confonde la virtù con i vizi.
Lasciatemi spiegare perché.
Adesso pensiamo che la parte peggiore della crisi sia passata, c’è debito dappertutto, carte di credito, mutui, debito pubblico. Questa è la parte che conoscete.
Ma noi abbiamo bisogno di ricordare come siamo arrivati a questo punto. Due anni fa la crisi finanziaria globale esplose (2008 n.d.r.). La crisi distrusse 2 trilioni di dollari. E collettivamente i paesi più ricchi del mondo spesero, prestarono o garantirono tra il 5 e 50 %  del loro PIL annuale per salvare le banche. Dato ciò, potreste pensare che un periodo di austerità possa essere una buona idea.
Ma per vedere perché non lo sia, dovreste vedere il mondo come una serie di fogli di bilancio. Se sei una persona, una casalinga, una società o uno stato tu hai delle entrate e delle uscite – (hai) un foglio di bilancio.
Prima della crisi del 2008, tutti si caricavano di tanto debito. Per molti di noi ha un senso assumere un debito. Per esempio il 40%della parte più bassa dell’entrata della distribuzione US non ha avuto un reale incremento dal 1979. Le corporazioni, in particolare le banche, hanno fatto lo stesso, ma lo hanno fatto per prendere soldi non per pagare i conti. Si chiama leva – che è debito, ma visto da una prospettiva diversa. Facendo leva è come raddoppiare nel blackjack. Se ti sei caricato di debito con un mutuo, speri che la tua casa acquisti valore. Se pensi di avere alte chance che il valore incrementerà, potresti raddoppiare e prendere un mutuo più alto. Ma come nel blackjack c’è il rischio di perdere.
Così le banche crearono montagne di debito. Fecero leva venti o trenta volte. Fu come buttare tutte le fiches sul tavolo da gioco, ma alla fine è solo un IOU (io ti devo). Così quando andò tutto storto i governi dovettero entrare in gioco e salvarle perché erano diventate troppo grandi per fallire.
Questo da dove arriva il problema del foglio di bilancio e perché il senso comune dell’austerità non è così semplice. Se tu hai fatto leva sul tuo debito e i tuoi attivi perdono valore  – la tua casa o il tuo portafoglio di derivati, se tu sei una banca – il tuo foglio di bilancio, nel suo insieme, è ora sott’acqua.
Quando questo succede, sia se sei un corporazione del tesoro o una madre singola, se tu hai preso denaro tu vorrai ripagarlo per riportare il tuo foglio di bilancio sopra l’acqua piuttosto che spendere soldi, che vuol dire che nessuno vuole spendere.
E questo succede quando il governo si trova in questa situazione. Se l’intero settore privato non usa più la leva – perché vuole ripagare il debito – il governo automaticamente fa leva per compensare. Così le tasse diminuiscono e i deficit aumenta, si elargiscono i benefit per la disoccupazione, e il consumo pubblico prende il posto del consumo privato.
Non facciamo errori – il problema è il debito – c’è ne è troppo e noi abbiamo bisogno di ripulirlo sia pubblico che privato. Ma tutti i pezzi sono interconnessi, se il settore pubblico rimette a posto il suo foglio di bilancio e allo stesso tempo lo fa il settore privato, l’intera economia si blocca. Questa situazione è chiamata errore di composizione (fallacy of composition) – ciò che è bene per le casalinghe o le società o gli stati singolarmente diventa un disastro se lo fanno contemporaneamente.
Ma perché ogni governo del mondo decise di fare esattamente in questo modo, e tutti nello stesso momento? 
Ricordate i 2 trilioni di dollari persi? La risposta è che qualcuno deve pagare per quella perdita e nessuno, specialmente le banche, vuole farlo.  Quindi i governi hanno da scegliere se aumentare le tasse, difficile,  o più semplicemente tagliare i servizi utilizzando il favorevole senso comune della virtù del ripagare i debiti. Austerità, la pena dopo la festa.
Ma qui c’è il problema che l’austerità non agisce allo stesso modo per tutti.
Il forum dei paesi più sviluppati al mondo, il Gruppo dei 20, chiamati ad un’amichevole crescita del consolidamento fiscale,  cioè come un unicorno con una borsa con il sale magico, è una buona idea ma è anche una cazzata, precisamente perché questo consolidamento non colpisce tutti nello stesso modo. Ricordate quel 40% della distribuzione che non aveva beneficiato dal boom finanziario – essi avevano avuto debito e illusione di  prosperità.  
Essi sono quelli che effettivamente usano i servizi pubblici, quei servizi che saranno virtualmente consolidati.  Quelli alla punta della piramide della distribuzione, quelli che avevano creato il gran casino, non li usano. 
Allora come ci lascia questo senso comune di austerità?
Ci lascia in un ciclo dove quelli alla base del processo distributivo pagano per quelli alla punta con gli stessi stagnanti e bassi stipendi con i qualità adesso comprano meno, in una economia ancora più ineguale e instabile.
C’è un termine per questo – politica di classe – e solitamente finisce male.
Questo senso comune di austerità, di ridurre il debito pubblico tutto in una volta attraverso il taglio dei servizi, richiede un problema di equità, chi paga e chi no. 
Quelli che hanno creato il casino non pagano, mentre quelli che avevano già pagato per il salvataggio delle banche pagano ancora grazie all’austerità.

Ecco perché l’austerità non ha senso comune, è priva di senso ed è pericolosa allo stesso momento.”

Claudio Pisapia

Studio i fenomeni sociali seguendo quelli economici. Maturità classica e Laurea in Scienze Politiche, collaboro con il Gruppo Economia di Ferrara (GECOFE) nell'organizzazione di eventi, conferenze e nello studio della realtà macroeconomica. Collaboro con chi mi chiede collaborazione. Ho scritto i libri "Pensieri Sparsi" e "L'Altra Faccia della Moneta".

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