IN GIRO PER BLOG – EURO: COSTA DI PIU’ INSISTERE O LASCIARE?

Pubblicato da Claudio Pisapia il

Alcune precisazioni:

lo spunto per quanto di seguito è venuto dalla lettura di un post che trovate integralmente qui e scritto dal prof. Massimo D’Antoni il quale approfondisce meglio (ovviamente) l’argomento (da un punto di vista scientifico, intendo) anche utilizzando le formule del caso. Nel mio post cerco di semplificare al massimo il suo intervento e aggiungo le mie considerazioni e valutazioni.

I grafici utilizzati di seguito sono presi dallo stesso blog a cui ho già rimandato sopra.

Dall’andamento di questo grafico, che mostra gli interessi sul debito pubblico per il periodo 1986 – 2016, si può notare un calo degli stessi abbastanza notevole e tra l’altro abbastanza costante tra il 1999 e il 2008, cioè nel periodo di ingresso nell’eurosistema e prima della crisi del 2008, da quell’anno ritornano oscillazioni più marcate.

Considerando quindi il grafico senza altre osservazioni e variabili, sembrerebbe fin troppo facile arrivare alla conclusione che l’euro ha portato un utile vantaggio in termini di pagamento degli interessi sul nostro debito (costo del debito) e che quindi chi aveva condotto le trattative per il nostro ingresso ci aveva visto lungo, infatti uno dei motivi a supporto era proprio la scarsa sostenibilità dello stesso con la lira. Tra l’altro in questo periodo il debito italiano si abbassa. Il pericolo dietro l’angolo è che anche i paesi meno solidi tendono ad indebitarsi con più facilità proprio per l’abbassamento degli interessi (e lo fanno anche i privati non solo gli stati), senza considerare che si stanno indebitando con una moneta non loro e che si stanno esponendo alle crisi in maniera molto diversa da prima ovvero senza armi di difesa (svalutazioni, controllo del cambio, controllo delle politiche economiche).

Quindi? Al netto delle osservazioni che all’epoca non si facevano: abbiamo fatto bene ad entrare nel sistema della moneta unica!

Questo grafico mette a confronto i tassi di interesse sul debito pagati da altri 6 paesi europei e si vede chiaramente che la dinamica è grosso modo simile, tutti pagavano interessi più alti prima del 1999 e che dopo questa data avviene un sostanziale livellamento dei tassi di interesse (quindi a prescindere da quanto fosse alto il debito). Sembra che tutti gli Stati siano forti allo stesso modo, affidabili e pronti a spiccare il volo, assicurarsi i vantaggi dei migliori dalla globalizzazione delle merci e dei capitali. Insomma tutti protagonisti e non succubi del nuovo capitalismo finanziario.

Questo grafico potrebbe chiamarsi: ritorno alla realtà.

Tiene conto di alcune cose che provo ad elencare:

  • La sostenibilità del debito pubblico deve essere vista, misurata, in relazione al suo PIL (cioè se produco 100 e mi indebito per 90 oppure 100 oppure 120 è meglio che se produco 1 e mi indebito di 20 oppure 30 oppure 100) e alle sue capacità produttive (il PIL in realtà misura in un anno tutto ciò che si “muove” in un Paese, ad esempio la vendita di una casa nuova che invece nel caso quell’anno in questione rimanesse invenduta non verrebbe calcolata, mentre verrebbero inclusi i costi sostenuti per costruirla – un calcolo insomma sulle transazioni). Infatti si fa sempre riferimento al rapporto tra PIL e debito, che sale se scende il PIL e viceversa;
  • l’inflazione. Infatti il costo del debito, cioè gli interessi pagati sul debito, deve essere aggiustato e riportato ad un valore scorporato dell’inflazione (tasso di interesse – inflazione = tasso di interesse aggiustato per la crescita)

il risultato che lo stesso grafico evidenzia è che il costo del debito è praticamente ritornato, dopo l’ubriacatura iniziale (che tra l’altro descrive molto bene l’economista americano Marc Blyth), a prima dell’euro, cioè a prima del 1999.

Ad oggi sono chiare alcune cosine:

  • non possiamo abbattere il costo del debito con la crescita, dato che non vi è alcuna capacità politica di farlo e navighiamo nello zerovirgola;
  • non abbiamo possibilità di decidere politiche economiche a tutela di interessi nazionali che sono sempre più diversi dagli interessi di altre Nazioni;
  • non vi è volontà di condividere il debito né tantomeno i surplus ma ognuno deve fare per sé;
  • non possiamo utilizzare la svalutazione per controllare i deficit esteri;
  • il debito è denominato in una valuta che non possiamo controllare, quindi “straniera” a tutti gli effetti

di conseguenza si potrebbe valutare con serenità se il costo di rimanere nell’euro sia maggiore  o minore di quello di lasciare l’eurozona, visto soprattutto che tale costo fu una delle valutazioni fatte per convincerci ad entrare.

 


Claudio Pisapia

Studio i fenomeni sociali seguendo quelli economici. Maturità classica e Laurea in Scienze Politiche, collaboro con il Gruppo Economia di Ferrara (GECOFE) nell'organizzazione di eventi, conferenze e nello studio della realtà macroeconomica. Collaboro con chi mi chiede collaborazione. Ho scritto i libri "Pensieri Sparsi" e "L'Altra Faccia della Moneta".

1 commento

Luca · 30 Marzo 2017 alle 12:57

Costa di più….lasciare TUTTI gli STATUS QUO così come sono, nonostante si abbia la prova provata di come questi siano fallimentari….!!

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