NEGOZI SEMPRE APERTI

Pubblicato da Claudio Pisapia il

Ho scritto diverse volte quale fosse la mia opinione in merito ai negozi ed esercizi commerciali aperti di sabato, domenica, Pasqua e Natale. Sintetizzando, le aperture nei giorni festivi. In realtà (e in maniera … sparsa), ne parlo anche nel mio libro nella parte dedicata alla ricerca del “tempo perduto” e contro la spersonalizzazione dell’essere umano.

Prendendo spunto qui dalla campagna elettorale di Marco Mori a sindaco di Genova (vai Marco!) riprendo il punto e lo rilancio partendo da una doverosa domanda iniziale (prof. Ioppolo docet!):

Dalla parte di chi vogliamo affrontare il problema / discussione?

Se riteniamo di essere dalla parte dell’1% della popolazione che trae profitto anche dall’aria che respiriamo… allora va tutto bene. Se invece vogliamo provare ad essere dalla parte del restante 99% della popolazione, quello che per mangiare deve lavorare, inventare, darsi da fare con continuità … ecco, solo in questo caso possiamo andare avanti e porci la domanda successiva.

è utile rimanere aperti la domenica, a Pasqua, a Natale e ventiquattro ore al giorno? A cosa o a chi serve?

Probabilmente la risposta è da ricercare nel fatto che l’essere umano ha subito, e sta’ ancora subendo, una trasformazione. È passato attraverso la lotta per diventare parte del processo decisionale, diventare cittadino, poter dire la sua facendo rivoluzioni anche terribili in termini di costi di vite umane fino a regredire al livello primordiale di consumatore. Dal “cogito ergo sum” al “spendo quindi conto qualcosa” per l’esercente di turno.

Ci siamo lasciati indietro il medioevo per l’illuminismo in cui si portava la centralità sull’ingegno, sulla ricerca scientifica, sulla voglia di provare e dare spiegazioni. Abbiamo detto basta ai sovrani, che imponevano e non spiegavano, per intraprendere un percorso di circa tre secoli alla ricerca della libertà.

Siamo passati dal desiderio di lasciarci indietro l’accettazione medievale degli eventi per attraversare il secolo dei lumi, perché volevamo sperimentare, industrializzarci, cercare la giusta via economica e sociale (Smith, Ricardo, Malthus, Marx, Bakunin, Keynes, Barneys, Mussolini, Hitler). Abbiamo steso cavi sotto l’oceano per mettere in comunicazione i mondi, superato due guerre mondiali e i figli dei fiori. Abbiamo visto i salari crescere, il superamento delle classi e la speranza a portata di tutti, la democrazia assaporata dagli operai … e poi ci siamo fermati.

Da quei desideri siamo tornati ad accettare per fede le politiche economiche anche se ci costano la vita, a non voler più sperimentare e ascoltare voci nuove, a tranciare quei cavi sotto l’oceano per affidarci alla comunicazione di massa pilotata e precostituita, ai salari stagnanti e alla disoccupazione strutturale, a un mondo dove agli operai non resta che affidarsi … a Marchionne, tipico esempio di imprenditore ottocentesco.

Abbiamo fatto tanta strada per poi girare e ritornare al punto di partenza.

Ritorna prepotentemente la disuguaglianza, pochi ricchi e tanti che tendono alla povertà. 85 uomini che possiedono quanto 3,5 miliardi di persone, multinazionali che impongono l’agenda agli stati, sovrani/presidenti che decidono di spendere in una notte 40 milioni di dollari in tomahawk e altri che ci dicono non avere soldi per rimettere a posto scuole, ospedali o fornire servizi ai propri cittadini.

Sovrani che non girano più in carrozza se non per la gioia dei turisti ma arrivano nelle città protetti, circondati dall’alone di potenza e potere e vendono la loro inutilità ad altri che vorrebbero essere come loro e li imitano anche quando tolgono la cravatta. Tutti strumenti del dio danaro.

E perché tutto questo sia possibile dobbiamo perdere la nostra qualità di persone, di cittadini, di uomini liberi che decidono, e lo dobbiamo fare senza che ce lo chiedano altrimenti ce ne accorgeremmo e sarebbe difficile farci di nuovo accettare le carrozze per strada e le corone in vista… almeno per ora.

Il potere passa attraverso la nostra perdita di identità, il nostro crescere come gente lontano dai riflettori della conoscenza. La domenica dobbiamo scegliere tra il supermercato dove compriamo esattamente quello che ci mettono a disposizione, deliziandoci a scegliere tra prodotti praticamente uguali che però arrivano da tutte le parti del mondo o almeno così sembra, poi magari fanno capo a una manciata di società finanziarie/multinazionali che spostano le loro produzioni dove più conviene al profitto. Oppure guardare quelle trasmissioni dove qualcuno vince qualche premio, il calcio, le discussioni sul nulla e allora ci sembra libertà andare al supermercato.

Non pensare, essere sempre occupati con la sensazione di avere tutto a disposizione e alla portata. Alla fine non ci arrabbiamo anche se l’ospedale non funziona, la prenotazione arriva tardissimo, la strada è rotta, la scuola ci cade in testa. Leggiamo qualche giornale con le previsioni economiche sbagliate, i nuovi acquisti della Roma, l’immondizia e la Raggi, l’ennesimo scandalo di corruzione che ci toglie soldi per lo sviluppo e via… abbiamo tutto a disposizione. Tranne forse gli spazi per aggregare, fare comunità, incontrarsi gratis e di persona lasciando a casa facebook. Essere amici davvero, condividere un poco di umanità.

Questo no ma ci danno i negozi aperti. Sempre. Beh questa è civiltà, posso comprare il latte in ogni momento anche se, nonostante ciò, quando incontri qualcuno al supermercato ha sempre troppa fretta e troppe cose da fare per farti un saluto che comprenda due parole in più di un ciao.

Il negozio aperto di domenica è come il grande vantaggio dell’euro: vai in Francia senza dover passare prima per il cambiavalute!!!

 


Claudio Pisapia

Studio i fenomeni sociali seguendo quelli economici. Maturità classica e Laurea in Scienze Politiche, collaboro con il Gruppo Economia di Ferrara (GECOFE) nell'organizzazione di eventi, conferenze e nello studio della realtà macroeconomica. Collaboro con chi mi chiede collaborazione. Ho scritto i libri "Pensieri Sparsi" e "L'Altra Faccia della Moneta".

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