CONFLITTI DI CLASSE. L’AUSTERITÀ NON E’ PER TUTTI

Pubblicato da Claudio Pisapia il

Vi propongo un tuffo nella disuguaglianza alimentata da stipendi e liquidazioni di chi viene tenuto fuori (o si tiene fuori) dai vincoli dell’austerità. Lo facciamo con la constatazione che esiste una propaganda di regime che tenta (e riesce) a distogliere continuamente l’attenzione da coloro che si ingrassano e il 99% della popolazione che soffre ed è costretta anche a vergognarsi se l’austerità gli ha lasciato il diritto a una visita medica o gli consente la gravidanza a casa.

Questo perché in questo sistema i figli non sono un valore o una gioia ma un costo e un problema, e se si lascia un diritto a una categoria altri potrebbero volerlo esteso. Il ragionamento è uguale a quello dei tempi gloriosi dei principi e dei re.

Chi sta in alto agisce per far sembrare colpevole il popolino, cioè noi, e a metterlo in contrapposizione perché non si unisca e faccia fronte comune una volta individuato il vero problema.

La storia insegna che quando i lavoratori si uniscono riescono ad ottenere dei risultati per cui le élite li vogliono divisi e i loro rappresentanti vanno corrotti (si guardi quante volte i sindacalisti passano alla politica, ai loro privilegi e alle loro “concertazioni”), la classe media, invece, fa le rivoluzioni quindi bisogna farla sparire. Tutto questo è già successo!

Si colpevolizza chi rifiuta un lavoro da 500 euro al mese, chi rifiuta di spostarsi da una regione all’altra, chi non vuole andare all’estero, chi non vuole lavorare la notte, chi usufruisce dell’art. 18, chi ha una malattia cronica, ecc.. Si colpevolizza in modo da instillare il dogma del lavoro prima di tutto e a prescindere da tutto, anche se vuol dire umiliazione, ritorno al passato altrimenti … pigro, choosy, viziato … colpevole appunto.

Laddove resiste ancora un diritto spunta un Tito Boeri a dire che è invece un sopruso, qualcosa che magari altri lavoratori non hanno e quindi bisogna toglierlo, non è sostenibile. Ma cosa succede fuori dall’ambito moralizzatore dei moderni censori mediatici con la macchina blu e autista al seguito?

Viaggio tra pubblico e privato

Cesare Romiti nel 1998 percepì dalla FIAT dopo 24 anni di presidenza l’equivalente di 101 milioni di euro, Flavio Cattaneo ha percepito dalla TIM una buonuscita di 25 milioni di euro (o forse 30) dopo 16 mesi di lavoro, Giovanni Perissinotto e Cesare Geronzi hanno ottenuto dalle Generali una “liquidazione”, rispettivamente, di 10,7 milioni nel 2012 e di 16,6 milioni di euro. Quest’ultimo per soli 347 giorni impiegati alla presidenza di Generali con uno stipendio di 3,3 milioni di euro all’anno.

Alessandro Profumo ha avuto 40 milioni di buonuscita da Unicredit che nel 2016 ha “liquidato” anche l’amministratore delegato Federico Ghizzoni con un assegno da 9,58 milioni di euro.

Dopo 37 anni di servizio Snam ha provveduto a liquidare Carlo Malacarne, nel 2016, con 6,1 milioni mentre l’amministratore delegato di Monte dei Paschi di Siena, Fabrizio Viola, nonostante le vicende di cui tutti sono a conoscenza e 4 anni come ad, ha percepito una liquidazione di circa 3 milioni di euro.

Francesco Gori ha ottenuto dalla Pirelli una liquidazione di 5,9 milioni di euro nel 2012 dopo 30 anni di lavoro e stipendi medi di 10 milioni all’anno.

Matteo Arpe è stato liquidato con 37 milioni da Capitalia, Amedeo Felisa da Ferrari con 5,5 milioni, Stefano Siragusa da Ansaldo Sts con 3,2 milioni.

Tutte queste persone sono amministratori delegati e manager di aziende private (o quasi) ma cosa succede ai manager pubblici?

Esiste una legge voluta dal governo Renzi che fissava un tetto agli stipendi dei manager pubblici fissandoli al compenso del Presidente della Repubblica, ovvero 240.000 euro (a qualcuno sembra poco? Equo? Può darsi ma capita che siamo in un Paese dove gli stipendi medi sono di 1.400 euro, le pensioni di 1.200 euro sono considerate una fortuna e, almeno per i dipendenti pubblici, una liquidazione superiore ai 50.000 euro viene dilazionata nel tempo, dopo 42 anni di servizio).

Un’inchiesta di quotidiano.net mostrava che la metà dei manager pubblici si manteneva al di sotto di tale soglia di appena 200 euro e che molti manager in concomitanza con l’entrata in vigore della legge delle soglie si erano visti “stranamente” aumentare lo stipendio di parecchie migliaia di euro compensando quelli che erano stati costretti a rientrare nei nuovi parametri.

Valerio Mastropasqua prendeva dall’INPS 1 milione e 200mila euro all’anno prima di lasciare nel 2014 ma Tito Boeri ci chiede sacrifici di continuo perché le casse dell’INPS sono in dissesto mentre questi di seguito mostrano cosa succedeva dalle parti del suo Ente nel 2015 (sarà cambiato qualcosa?):

In questo caso, magari, potremmo sentirci in diritto di chiedere a Boeri di indirizzare i suoi strali direttamente ai suoi colleghi e di lasciarci un po’ respirare visto che già le nostre pensioni a 70 anni si preannunciano di poche centinaia di euro conseguenza di una vita di stipendi a un migliaio di euro al mese (e di una vita da mediano). Piccole e impercettibili differenze che il nostro sembra faticare a cogliere. Del resto gli sfugge anche che l’impoverimento generale che lui promuove non fa altro che peggiorare sempre di più la situazione economica italiana e andare verso la distruzione della classe media, quella che fa la spesa al supermercato tutti i giorni e sostiene l’economia reale.

Da tale legge che fissa il tetto a 240.000 euro rimangono poi fuori incarichi come quello del Presidente della Corte Costituzionale e dei giudici costituzionali, di seguito un riepilogo tratto sempre dall’inchiesta di quotidiano.net

Poi ci sono i dirigenti dei vari ministeri, dell’INAIL, degli ambasciatori e di tutti i funzionari del Ministero degli Esteri quando sono in paesi stranieri, dei Capi delle Forze Armate e di Polizia che cumulano stipendi, indennità, straordinari e quant’altro.

E in tutto questo, o fuori da tutto questo, ci si potrebbe mettere anche gli stipendi degli “artisti” della RAI che paghiamo allegramente e coscientemente centinaia di migliaia di euro e spesso milioni.

Insomma esiste un pubblico e un privato ma la musica non cambia. Si impongono contratti di lavoro che rivedono al ribasso i minuti di pausa tra un turno e l’altro, richiamano alla solidarietà tra i lavoratori a 1.200 euro al mese, introducono le tutele crescenti, mettono l’attenzione negativa sulle gravidanze e sui giorni di malattia ed esistono parallelamente realtà dorate e intoccabili.

Sempre più i vertici richiedono i sacrifici perché bisogna stare al passo con i mercati e le esigenze di produttività, ma costantemente e sostanzialmente si tengono fuori i vertici da tali sacrifici!

Sostanzialmente perché sarebbe da considerare che se togli 50.000 euro all’anno a chi ne guadagna 300.000 magari gli togli la possibilità dell’elicottero privato mentre se togli 100 euro a una pensione futura di 1.000 euro stai togliendo a qualcuno il pane di bocca. Certo il discorso potrebbe essere troppo populista e persino essere tacciato di comunismo sovietico, ma purtroppo è solo la realtà e se non si può dire e solo perché la propaganda avversa alla giustizia sociale ha lavorato bene.

Il punto non è tanto dare a qualcuno ragione ma semplicemente ammettere finalmente che esistono degli interessi in conflitto, e che i conflitti da non sono tra la classe di lavoratori ma tra questi e chi sta schiacciando la popolazione verso il basso, prendendosi tutti i vantaggi e i privilegi ed eliminando l’ascensore sociale.

E se ci sono squadre che competono bisogna dunque cercare un arbitro che possa mediare prima di arrivare alla catastrofe e questo arbitro può essere solo lo Stato che invece di ingrassare i suoi manager, politici e affaristi prestati alla politica dovrebbe intervenire a favore della vita reale e del 99% delle persone.

Le cifre che la parte alta del pubblico e del privato percepiscono offendono e ridicolizzano la propaganda dell’austerity imposta alla popolazione come le cene e le corti dei re offendevano i servi della gleba. Anni di lotte e rivendicazioni per ritornare al punto di partenza.

La propaganda ci dice che dobbiamo fare sacrifici, che siamo in crisi, che siamo tutti nella stessa barca mentre i realtà alcuni navigano in yatch!

Cifre e guadagni che stravolgono l’idea di valore sia dei soldi che del lavoro. Che tipo di attività o di risultati possono dare origine a tali stipendi e conseguenti liquidazioni? Stiamo discutendo di persone che lavorano per un Paese che loro stessi dicono essere in difficoltà. Lo dicono agli altri e pretendono austerità ma continuano a non rinunciare a niente. E se questo vale per i pubblici manager e politici di grido dovrebbe valere anche per coloro che sono pagati da aziende che lavorano sempre in un Paese ritenuto in difficoltà e con la disoccupazione sopra l’11%, dimostrazione del fatto che producono introiti più da investimenti finanziari che da economia reale (altrimenti la disoccupazione scenderebbe e il benessere sarebbe più diffuso sui territori).

In realtà tutto questo deriva dalla mobilità dei capitali che non hanno Patria e dal dominio delle grandi banche e dal ruolo del denaro impiegato dagli interessi finanziari. Non c’è legame tra i Paesi, la produzione e l’economia reale e la società in cui producono effetti. I soldi vivono oramai una vita a parte e si fanno soldi con i soldi e non con la produzione. Questo aiuta a capire perché ci sono persone che guadagnano così tanto e altri schiacciati verso il basso e perché i grandi capitali non si trasformano più in aumento dell’occupazione e benessere per i territori, anzi.

In realtà abbiamo visto, ad esempio con il caso della banca senese, che i risultati non sono nemmeno importanti per usufruire di stipendi e liquidazioni milionarie. In molti casi assomigliano molto a dei regali da parte della politica, visto che tanti incarichi sono da essa sponsorizzati o attribuiti. Quasi mai è una questione di bravura o di voto finale della laurea.

Monti dice che gli italiani fanno fatica ad essere competitivi e ad affidarsi alla concorrenza ma ovviamente non avrà parenti disoccupati, come la Fornero o come tutti quelli che si sono avvicendati a proporre o fare leggi liberiste. Del resto è più facile, oltre che più comodo, predicare il mercato libero quando si hanno incarichi e posizioni consolidate, quando insomma non si rischia niente.

A qualcuno i guadagni mentre ai più i sacrifici. E fra tanti, oggi in particolare, merita davvero una menzione a parte Tito Boeri, oramai in prima linea per intervenire e bloccare qualsiasi tentativo di mitigare gli effetti nefasti dei nuovi parametri pensionistici in nome della stabilità di bilancio. Dall’alto della sua bravura e intelligenza gli manca di vedere quanto sia iniquo questo sistema e questa società che ci hanno costruito intorno. Quanto grande sia la distanza tra lui e chi è costretto a pagare sempre e per errori non suoi.

Oggi Tito attacca i dipendenti pubblici solo perché vuole che l’INPS sia privatizzata e utilizza le statistiche sui giorni di malattia per accusare i dipendenti pubblici e creare le giuste condizioni per future modifiche ai diritti, ovviamente al ribasso.

Le persone però dovrebbero distinguere tra i dipendenti pubblici privilegiati come Tito Boeri e il Ministro Franceschini, e i tanti che hanno solo qualche garanzia in più che dovrebbe essere estesa al mondo del privato, tipo un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Ma i lavoratori dovrebbero capire che se anche questo diritto verrà intaccato non ne seguirà un passo avanti per la società, ci sarà solo altra gente più povera e in bilico. I diritti vanno estesi e non compressi.

Civiltà è estendere i diritti alle categorie che non li hanno, non toglierli per far stare tutti ugualmente peggio (tipo ex art. 18 dello Statuto dei Lavoratori). Ma questo, ovviamente, non vale per chi ascolta e crede in Giannino, urlatore insensato (cioè senza senso!) di radio24.

La propaganda politica e giornalistica riesce a far apparire tutti sullo stesso piano e portatori degli stessi interessi mentre basterebbe dare un’occhiata ai rinnovi contrattuali o alle riforme periodiche nei vari ministeri oppure nelle aziende private per capire quanto questo sia falso. Alcuni ci guadagnano sempre mentre altri vanno sempre più indietro.

La disuguaglianza, quindi, è in aumento grazie all’attribuzione a pochi di grandi privilegi economici svincolati dalla realtà e questo non è solo un fenomeno del mercato privato (che per qualcuno potrebbe essere gisutificabile). Anche i manager pubblici o coloro che sono ai vertici staccano di centinaia di migliaia di euro i propri subordinati, basti guardare allo stipendio di un poliziotto e confrontarlo con quello del Capo della Polizia, di un militare di Truppa e quello di un Capo di Stato Maggiore, di un insegnante e quello di un dirigente o del Ministro dell’Istruzione e così via.

Ma la politica potrebbe almeno intervenire ed assicurare la sopravvivenza di una giustizia sociale promuovendo un intervento statale riequilibratore degli interessi in gioco, assicurando lavoro, pensioni ad un’età accettabile e che possano assicurare una vecchiaia dignitosa in un Paese (sembra incredibile) che ha il 9° PIL mondiale e una ricchezza privata che arriva ai 9.000 miliardi di euro.

L’Italia non è un Paese povero né un Paese in fallimento. È solo un Paese in svendita e da spolpare e Tito e company sono solo gli esecutori materiali della distruzione dei diritti e del benessere diffuso.


Claudio Pisapia

Studio i fenomeni sociali seguendo quelli economici. Maturità classica e Laurea in Scienze Politiche, collaboro con il Gruppo Economia di Ferrara (GECOFE) nell'organizzazione di eventi, conferenze e nello studio della realtà macroeconomica. Collaboro con chi mi chiede collaborazione. Ho scritto i libri "Pensieri Sparsi" e "L'Altra Faccia della Moneta".

1 commento

Guido Sitta · 6 Settembre 2017 alle 14:46

Almeno una volta era tutto alla luce del sole, chi era stronzo era stronzo e chi era un poveraccio era un poveraccio. Oggi gli stronzi fanno finta di essere dei poveracci e i poveracci (ignoranti e maleducati) si vantano a fare gli stronzi 😀

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