FINISCE L’EUROPA DEL PAREGGIO DI BILANCIO?
“Io sono per la sanità pubblica. La sanità pubblica è stata depredata negli anni, dobbiamo ripartire dalla sanità pubblica, valorizzarla con una spesa pubblica adeguata. Abbiamo pochi posti in terapia intensiva a causa dei tagli e dobbiamo aumentarla” lo ha detto il Presidente della Camera, Roberto Fico. A questo aggiungiamo e ricordiamo i tagli alla pubblica istruzione, alla macchina statale, ai comuni e alla manutenzione di strade e ponti. Cercheremo di ricordarcelo. E magari rivaluteremo anche le inutile e dannose privatizzazioni.
Intanto l’Europa ha sospeso il Patto di Stabilità e questo ha un significato. Vuol dire che, come ha scritto Roberto Sommella, finisce l’Europa dei numeri. Ed era questa l’Europa che non ci piaceva in effetti ed è questo che ci fa sperare in un futuro dove i bisogni delle persone venga prima dei bilanci.
E questa decisione apre la strada agli eurobond, anche questi dal grande significato, che indicano la via della solidarietà e della condivisione piuttosto che degli egoismi nazionali che i trattati europei a trazione franco-tedesca avevano risvegliato. A chiederlo sono proprio sette economisti tedeschi in un articolo sul quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung: fra loro Peter Bofinger, per 15 anni membro del Consiglio degli esperti economici, oltre a Jens Südekum, Gabriel Felbermayr, Michael Hüther, Moritz Schularick, Christoph Trebesch e Sebastan Dullien.
Si rendono conto e mettono sull’avviso i governanti (e la loro Merkel) che bisogna salvaguardare gli stati dal pericolo post coronavirus, quello del debito. Perché se si costringe gli stati oggi ad indebitarsi, con queste regole che non tengono sotto controllo gli interessi, si spianerà la strada ad un collasso di quelli più deboli domani.
E cosa sarebbe l’Europa già uscita distrutta dalle crisi economiche e finanziarie degli ultimi 12 anni se ne aggiungessimo un’altra? introdurre gli eurobond significa mettere in comune il debito pubblico che bisognerà fare per superare questi momenti che richiedono una maggiore spesa. Momenti che richiedono una prova corale da parte di tutti e quindi bisogna mettere da parte interessi personali e le solite rimostranze tedesche ed olandesi.
Domani si potrà forse parlare di un’Europa federale, che rispetti i confini nazionali e le particolarità di ogni aderente, che si occupi di difesa, di politica estera e usi anche, volendo, una sola moneta nei rapporti con gli altri stati. Ma che non si occupi della lunghezza dei cetrioli e che lasci l’operatività agli stati nella spesa interna, nella valorizzazione della cultura e dell’economia interna, di come gestire la pesca o il latte, le scuole o gli ospedali.
Di un’Europa che non pretenda tutti tedeschi, perché semplicemente non lo siamo e magari non sappiamo e non vogliamo esserlo. In questi giorni stiamo dimostrando di saper essere pazienti, di saper aspettare per dare i nostri giudizi, di fare la fila al supermercato, di chiuderci in casa e rinunciare persino alla passeggiata. tutto in nome del Paese e della comunità. Ma domani bisognerà pretendere risposte, analisi, decisioni anche dure e di discontinuità e quindi bisogna prepararsi, leggere, studiare e capire dove posizionare il limite.
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