L’ECONOMIA CHE VERRA’
Dal punto di vista dell’economia potremmo dire che il futuro è già oggi, abbiamo infatti visto ed apprezzato negli ultimi due anni dei cambiamenti radicali. Siamo passati dall’austerity e dall’esclusione dello Stato ad un suo sempre più pervasivo intervento nell’economia reale attraverso deficit enormi che hanno sradicato i vecchi limiti imposti dai Trattati europei per sancirne un ritorno a quello che una volta si chiamava Capitalismo di Stato. Cosa del resto che veniva già attuata da paesi come il Giappone o la Corea del Sud e, sotto forma molto peculiare, dalla Cina.
È probabile che si farà tesoro della lezione visto che la ripresa, grazie ai grandi impegni di spesa pubblica, è stata molto veloce rispetto alla crisi del 2011, quando l’Europa dell’euro decise di affidarsi alle ricette liberiste e lasciare che il mercato facesse il suo libero corso. Imparata la lezione difficile pensare che si possa tornare indietro ed è quindi lecito essere ottimisti.
In funzione di questo nuovo corso i debiti pubblici cresceranno per un po’, poi dovrebbero essere riassorbiti dalla crescita, dalle politiche dei tassi bassi e degli acquisiti da parte delle banche centrali che si stanno dimostrando sempre più propense alle politiche espansive.
La transizione energetica verso forme di sviluppo più sostenibili e di rispetto verso il mondo che ci ospita ci sarà, “ma non oggi”. Oggi non ci sono le condizioni, c’è uno sviluppo diseguale tra i paesi e tra i continenti e sebbene sia sicuro che un domani la produzione sarà green o semplicemente non sarà possibile, serve tempo per essere accettata. Bisogna considerare che tutti hanno il desiderio e la necessità di accedere allo stesso benessere tecnologico dei paesi occidentali ma per arrivarci bisogna passare attraverso emissioni malsane. Il mondo degli anni 2000 non è un mondo post industriale, anzi. E del resto la produzione è necessaria, non si produce pane e auto su TikTok, e il processo di produzione ha ancora un impatto consistente sull’ambiente circostante.
Ma la tecnologia va avanti e ci sono paesi che ci credono più di altri, come il Giappone che prevede di far fronte al calo delle nascite, all’invecchiamento e alla diminuzione di decine di milioni di persone non con gli immigrati ma, appunto, con l’innovazione. La tecnologia a cui pensano è quella che potrà tenere in vita anziani a condizioni di vita migliore di oggi, il che li aiuterà ad essere produttivi, quanto basta per sopperire alla mancanza di nuove leve. Le proiezioni demografiche vedono il Giappone passare dai 128 milioni di abitanti del 2010 ai 90 milioni del 2060 fino ad arrivare alla metà verso il 2100.
Ma mentre il Giappone e l’Europa sono visti in forte calo demografico ci sono paesi come la Nigeria e in generale l’Africa in forte aumento. La popolazione mondiale, oggi alle soglie degli 8 miliardi di individui, è vista toccare i 10 miliardi nel 2050 per poi scendere sotto i 9 intorno al 2100.
La demografia, insomma, c’entra nel nostro futuro. E forse l’atteggiamento attendista dei nostri leader non è l’approccio migliore. Ci sarà un momento in cui bisognerà assicurare acqua e cibo ad una popolazione mondiale che busserà alle porte dei paesi più ricchi, magari con i modi di chi ha sete e fame, e che non ha più uno spazio vitale sufficiente. La risposta dovrà essere elaborata in anticipo e magari cominciare a prevedere soluzioni diverse dall’Elisyum cinematografico, magari qualcosa tipo condivisione dei risultati raggiunti, delle ricerche, della tecnologia e, perché no, del benessere.
Un benessere diffuso migliorerebbe la qualità generale della vita, ma sul piano della condivisione è difficile fare previsioni, bisogna lavorarci parecchio. Speriamo si inizi prima possibile.
E che tipo di lavori ci aspettano nel futuro? Visto che ci sarà sempre più bisogno di tecnologia per automatizzare i processi di produzione e che a lavorare ci saranno più persone avanti con l’età, il campo dell’automazione sarà quello che vedrà grandi investimenti. Innovazione, creatività, sviluppo digitale e globalizzato dei processi. Si lavorerà da ogni parte per ogni cosa e l’aria sarà più pulita persino sul GRA di Roma.
Nel corrispettivo mondo dei salari ci saranno tensioni perché ci saranno tante persone che non faranno in tempo ad attualizzare le proprie competenze. Ci saranno lavori ben pagati e lavori a basso reddito a cui cercheranno di accedere in tanti senza speranza di carriera. Per quella che oggi immaginiamo come classe media non ci sarà spazio e quindi il mondo potrebbe diventare, per tre quarti di popolazione, un posto brutto. Da ciò se ne uscirà solo quando l’uomo sarà pronto per la condivisione e il dono, per quando questo succederà … solo labili ipotesi, ma cosa vuol dire esattamente condivisione e dono?
Immaginate che un campo sia inizialmente coltivato da 10 persone, poi si introduce un trattore e a quel punto per coltivare lo stesso campo bastano 3 persone. L’innovazione può essere aumento del benessere per il proprietario del campo o per il produttore di trattori oppure crisi per i 7 disoccupati appena creati. Ma c’è un’altra strada, l’umanità potrebbe scoprire che è possibile lavorare di meno producendo gli stessi beni, evviva, 10 persone usufruiranno di più tempo libero da dedicare alla vita senza perdere nulla.
Io ho già scritto su queste pagine che la Cina di Xi Jinping sta rimodulando il suo capitalismo di stato coinvolgendo i magnati della finanza in opere di redistribuzione “volontaria” delle loro ricchezze monetarie e che negli USA ci sta provando Biden, con modi ovviamente diversi, con pacchetti di liquidità mai visti nell’economia, con un rafforzamento celato dei confini a beneficio dei lavoratori americani, e con un ampliamento del welfare. Ma questo non basta e forse non è nemmeno l’inizio del pensiero felice.
Il mondo non conosce un pensiero davvero universale sui diritti e sul benessere, tantomeno sulla condivisione e sul dono. Piani di welfare generalizzato e sostegno alle categorie svantaggiate abbastanza seri, quanto meno nei principi, esistono solo in Europa, come del resto il concetto di diritti umani che ci illudiamo sia generale. Ma l’Europa è stata veramente grande e universale solo quando è stata cattiva, imperiale, esportatrice di potenza. Oggi è succube di interessi e potenza altrui e cerca inspiegabilmente di diventare altro da quello che potrebbe essere, ovvero: esportatrice dell’idea di condivisione e di rispetto dell’essere umano.
Ci sono insomma tutti gli ingredienti per un futuro migliore, tante soluzioni sono a portata di mano ma è necessario imparare a cogliere, quanto meno cominciare a vederle tralasciando il momento e gli errori di coloro che continuano a confonderci a causa della loro mancanza di visione. La moderazione nel campo dell’economia reale non farà parte del mondo futuro, destino che era stato della finanza speculativa dagli anni ’80 del passato secolo in poi. Se questo sarà per noi un bene dipenderà dall’uso che delle nuove possibilità si farà.
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